In questi 12 anni di visite e rapporti con i monasteri, abbiamo stretto amicizia con alcuni monaci come gli amici camaldolesi dell’Eremo di Monte Giove a Fano con i quali condividiamo la passione per la birra trappista, o i fratelli dell’Eremo di San Giorgio a Bardolino ai quali invidiamo la vista (tra le più belle sul lago di Garda) e l’olio. Abbiamo conosciuto le pacifiche monache della famiglia monastica di Betlemme di Monte Camporeggiano che producono fantastici biscotti e non ultimi i monaci benedettini di Norcia e la loro birra.
In tutti questi incontri ci siamo sempre domandati come un ragazzo o una ragazza di 20 o più possano decidere di passare la propria esistenza dentro le mura di un monastero e passare la propria vita in situazioni di clausura in una monotonia di preghiera e lavoro.
Non crediamo in questo mondo che non ha più valori, quelli che hanno vissuto e sostenuto l’esistenza dei nostri genitori e nonni nel XX secolo, pensando che avrebbero sostenuto anche la nostra esistenza e quella dei nostri figli. Il mondo è cambiato, stiamo vivendo un’altra epoca fatta di non valori dove ciò che per noi era certo pare non avere più consistenza. Ci chiediamo quindi cosa il monachesimo abbia da dire oggi.
C’è un grido nel cuore dell’uomo che desidera la felicità, lo stesso grido che in ogni uomo in questo mondo ogni mattina muove l’animo verso qualsiasi azione.
Anche nel Medioevo, ai principi del Medioevo pochi anni dopo la devastazione barbarica nell’anno 500 pareva tutto senza valore, tutto sciupato dalle mani dell’uomo che non sapeva dove volgere lo sguardo perchè con le proprie mani aveva distrutto ciò che di buono aveva ricevuto dai propri padri. La storia ce l’ha sempre raccontato come un momento buio per l’umanità svuotata di valori.
Ma c’è stato un uomo nel 500, Benedetto, nato a Norcia da famiglia ricca, un uomo che ha cambiato il verso della storia. San Benedetto ci viene descritto da San gregorio Magno (suo biografo) come un ragazzo che non voleva vivere una vita dissoluta. Voleva piacere solo a Dio.
Nel prologo della Regola di San Benedetto troviamo questa frase: “Chi è l’uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici?…… Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall’iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila.”
Con questa Regola San Benedetto ha la presunzione di rispondere quindi a quel desiderio di felicità che grida in ogni uomo. Proponendo una vita di privazioni, di solitudine dentro le mura di un monastero, scandendo la giornata dalla preghiera e dal lavoro. L’esatto contrario di ciò che quel tempo dissennato proponeva e allo stesso modo propone oggi.
A guardar bene la regola indica una sola cosa, che la vita sia unita nel rapporto con Cristo. Percui il mangiare, il bere, il lavorare, il vegliare e il pregare hanno come unico scopo l’unità dell’uomo con Cristo. Ce ne hanno dato testimonianza i monaci e le monache che abbiamo incontrato in questi anni. Monotonia e ripetitività di vita in realtà non sono altro che una ricerca insistente, innamorata, di Cristo. E’ questo il “segreto” del monachesimo, dal quale è scaturita la civiltà moderna.
Che paradosso da dentro le mura e dalla solitudine del monastero sono nati ospedali, cultura, scienza, sapienza, democrazia, tecnica, carità, solidarietà che hanno cambiato il volto della società nei secoli seguenti. I valori che credavamo potessero sostenere anche oggi la nostra esistenza, ma ci sbagliavamo, non siamo stati attenti, essi sono il frutto del rapporto col Mistero senza il quale questi valori si spogliano di consistenza.
Questo è quello che ancora oggi ci propone il monachesimo e il Natale è ogni anno l’occasione per riscoprirlo. Noi siamo ben lieti di sostenere queste comunità. Esse sono ancora oggi un faro verso cui volgere lo sguardo. Lo facciamo non per un’opera di bene, questo è il frutto forse, ma per riscoprire ogni volta il loro “segreto”.
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