Marmellata è il termine più diffuso in Italia per definire il delizioso preparato gelatinoso di frutta.
Una volta veniva utilizzato come metodo di conservazione della frutta per averla in questo modo disponibile nei mesi in cui la stessa frutta non sarebbe stata disponibile. Tanti di noi si ricordano del periodo delle mele o della cocomera, in estate durante la raccolta delle albicocche o delle more, il profumo di confettura che avvolgeva la casa.
La frutta matura veniva messa a macerare uno o due giorni nello zucchero. Spesso si sceglieva la frutta con difetti, che non poteva essere venduta o consumata fresca. Successivamente veniva cotta sopra la “cucina economica” alimentata a legna, a fuoco lentissimo senza mai mischiare. Dodici ore dopo, con il contenuto ancora bollente, venivano riempiti i vasetti. Questi venivano a loro volta venivano bolliti per 45 minuti dentro caldaie di latta a fuoco vivo.
La bollitura dei vasetti, sterilizza il contenuto e l’alto contenuto di zucchero presente all’interno della marmellata o della confettura rende l’ambiente non ideale per la proliferazione batterica e quindi adatto alla lunga conservazione. In effetti lo stesso ambiente “dolce”, anche se in assenza di ossigeno, rende quasi impossibile la resistenza di batteri anaerobi, che vivono e prolificano negli alimenti conservati di tutti i generi.
Ma che differenza c’è tra marmellata e confettura? Per la legge europea, dal 1979 la marmellata può essere prodotta utilizzando esclusivamente agrumi, compresa una parte di scorza. Nonostante il termine confettura sia usato come un sinonimo, per la legge si tratta quindi di due prodotti totalmente diversi.
Le monache Trappiste di Vitorchiano hanno un’ampia gamma di marmellata e confettura. Tra gli agrumi trasformano:
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